Scrivere con intento artistico
Qualche giorno fa ho iniziato a scrivere un articolo dal titolo “Le competenze dello scrittore”. Con estrema convinzione, ho iniziato a parlare di quanto sia importante conoscere perfettamente la propria lingua madre e apprendere le principali tecniche narrative. In origine era previsto anche un terzo paragrafo, ma non sono mai arrivata a scriverlo. Mi sono accanita sui primi due, rileggendo e cancellando, facendo appello a tutta la mia lucidità mentale per dare al testo una forma in grado di stimolare la mente del lettori. Poi, il vuoto. Black out completo. Per ore ho cercato di comprendere le ragioni di questo blocco, senza riuscire a venirne a capo. Dopo tutto, era un articolo molto più facile di altri scritti in passato. Era un articolo intelligente. Razionale. Quindi, dov’era il problema?
Proprio lì. Il problema era proprio lì. In quella parola che se ne sta sola soletta, nel paragrafo qui sopra. Razionale. Mi sono comportata come se la scrittura creativa fosse solo un insieme di regolette, come se esistesse una ricetta per scrivere un best-seller. In realtà, tutto questo è secondario.
La grammatica si studia. La tecnica si può apprendere con l’esercizio, fino a rendere la sua applicazione quasi inconsapevole. La progettazione di una storia è utilissima per comprendere i propri obiettivi. Le schede dei personaggi aiutano la caratterizzazione. Ma, se ci si limita a questi esercizi della mente, si possono scrivere saggi, manuali, relazioni. Non romanzi.
Per scrivere con intento artistico, la razionalità non è sufficiente
La stesura di un romanzo richiede che la mente sia il sia il servo muto dell’ispirazione, non la sua gabbia, altrimenti l’intento creativo si frantumerà contro le barriere che il nostro cervello ha costruito quand’eravamo bambini e che rinforza ogni giorno, per sentirsi al sicuro. La logica non è in grado di afferrare le dinamiche sotterranee, invisibili, che sono alla base della creatività. Occorre dunque un gran coraggio, per essere scrittori. Occorre la disponibilità caratteriale ad abbandonare il controllo per calarsi in un universo parallelo, sospendere la propria incredulità e rendere verosimile ciò che è inspiegabile. In questa dimensione la mente non conosce giudizio, non conosce censure, quindi riesce a vedere molto, molto lontano. Riesce a vedere la verità, anche senza bisogno di alcool o droghe.
Per scrivere con intento artistico, bisogna connettere la razionalità con l’intuizione
L’intuizione è alla base del processo creativo per tre motivi:
- permette una conoscenza diretta che trascende il ragionamento intellettuale;
- nasce da una dimensione che si trova oltre la coscienza;
- offre una comprensione immediata della realtà.
In poche parole, l’intuizione offre all’individuo la possibilità di essere presente a se stesso, e al contempo altrove. La logica razionale, no. Quest’ultima infatti si limita a decifrare e identificare le informazioni che riceve. Per andare dal punto X al punto Y, passa per Z, Q, e P. Ha bisogno di questi step, per non perdersi. L’intuizione, invece, segue il percorso inverso: prima “vede” Y, e poi torna indietro, per collegare le cause ai loro effetti. Questo è uno dei motivi per cui spesso uno scrittore decide il finale del suo romanzo prima ancora di individuare le svolte chiave, il titolo e i personaggi principali.
Del resto, capita anche nella vita reale, no?
Spesso le persone intuitive riescono a prevedere l’esito di determinate situazioni senza conoscere tutti i passaggi e sono in grado di entrare in sintonia con le persone, di comprenderle, senza filtri. Molti le considerano maghi o veggenti. In realtà, sono solo individui che hanno imparato a non ignorare quella lampadina che si accende all’improvviso (avete presente Archimede Pitagorico nei fumetti di Topolino?) e a seguire la strada da essa indicata, anche (o soprattutto) quando sanno che li porterà lontano.
Eh sì.
L’intuizione può portare molto lontano da se stessi e dal proprio microcosmo. Per questo, chi ha i piedi ben radicati a terra, spesso è terrorizzato dai propri lampi di consapevolezza.
Per scrivere con intento artistico bisogna trascendere la propria vita quotidiana
Sento spesso dire che gli scrittori sono egocentrici. All’inizio, forse sì: le prime esperienze narrative, sono sempre fortemente autobiografiche. Poi, possono verificarsi due fatti: o l’autore si rende conto che esiste un mondo meraviglioso sotto la sua finestra, o appende la tastiera al chiodo. Molti optano per questa seconda soluzione, perché non riescono a staccarsi dalla propria visione limitata.
Ci sono infatti persone che non sanno provare empatia, quindi non riusciranno mai a umanizzare i propri personaggi. Ci sono persone più brave a copiare che a creare; persone che non hanno fantasia; persone che non hanno mai immaginato un bacio in modo così vivido da avere l’impressione di sentirlo sulla pelle. E poi, ci sono persone che per tutta la vita non hanno fatto altro che seguire uno schema disegnato da altri, senza mai arrivare a conoscersi davvero. Persone che hanno messo da parte la propria natura più autentica, per conformarsi al volere della società. Persone che vivono inchiodate al proprio microcosmo, e non hanno alcuna idea di cosa succeda un metro oltre il proprio culo. Ecco. queste persone avranno molta difficoltà a indirizzare la propria creatività. Perché la loro mente è circoscritta al mondo che conoscono. Non sanno comprendere ciò che non hanno direttamente vissuto. Non sanno accettarlo. Lo giudicano. Ma uno scrittore dev’essere un camaleonte, deve assumere la forma dei personaggi che vivono sulla pagina, deve entrare nella testa di un serial killer anche se non ha mai fatto a pezzi un cadavere per infilarlo nel congelatore. Quindi, capite anche voi che non può essere un bigotto e un perbenista, altrimenti le sue opere non faranno altro che ricalcare i suoi preconcetti. E immaginate che noia, un romanzo popolato da eroi buonibuonissimi, ai quali si antepongono dei mostri cattivicattivissimi: anche le fiabe della Disney hanno ormai superato questo cliché…
Per scrivere con intento artistico occorre superare ogni tabù
Da autrice ed editor, posso affermare con certezza che le scene più difficili da scrivere sono quelle violente e quelle erotiche. Il motivo, mi pare ovvio: di certe cose non si parla. Ce lo insegnano fin da bambini. Allora, perché insistere? Un autore può tranquillamente rifiutarsi di affrontare certi argomenti. Invece, noto che gli scrittori emergenti sono affascinati dai temi scomodi, ma al contempo ne hanno paura. Scrivono con le mani legate dietro la schiena, il cervello incatenato. Pensano che quelle pagine saranno lette dalla zia ottantenne, dal capo, dai colleghi. Si sforzano di non essere additati come psicopatici o pervertiti. Quindi il risultato è spesso esilarante. Diciamo che oscilla da un eccesso all’altro. Negli inediti che mi sono arrivati da correggere, ho trovato infatti scene sexy che erano piccanti come la dichiarazione dei redditi e altre che avrebbero messo in imbarazzo persino Rocco Siffredi. E pare veramente impossibile descrivere un omicidio senza cadere nello splatter: a volte, vomiterei pure il pranzo della prima comunione…
Bisognerebbe forse capire che trattare certi argomenti non significa essere persone abiette, o mettere da parte i propri valori morali. Assolutamente no: sebbene abbia appena sostenuto che un autore debba trascendere la propria quotidianità, credo anche che non possa mai separarsi dalla propria etica. Il messaggio contenuto nella sua opera è sempre il frutto di ciò in cui crede. Però, se vogliamo scendere dalla nuvoletta rosa e ispirarci al mondo reale, dobbiamo renderci conto del fatto che la realtà racchiude in sé anche aspetti vergognosi e imbarazzanti. Affrontarli senza timore è fondamentale per non dare al lettore una visione edulcorata e fasulla. Da editor, insisto sempre sul realismo, anche nell’uso del linguaggio. Un bullo di periferia, non può parlare come un accademico del settecento: fateglielo dire un vaffanculo ogni tanto, nessuno si scandalizzerà. Anche la Divina Commedia era piena di parolacce!
Per concludere.
Bene. Ora mi devo fermare. Non perché non abbia più nulla da dire, ma perché credo di aver già messo abbastanza carne al fuoco. Ci sono altri punti che vorrei sviluppare, e non escludo di farlo in futuro.
Intanto: come ve la cavate con i punti di cui sopra?
Scrivere con intento artistico non è facile per niente. Però si può imparare.
Ciao Chiara! Da un po’ di tempo ho smesso di tentare di definire la scrittura in qualsivoglia modo. Tutto ciò che si può dire è vero e utile, e al tempo stesso non lo è abbastanza. Questo crea una specie di vuoto nella teoria, per lasciare un bel punto interrogativo sulla pratica. Come sia questo prendere le distanze, alla prova dei fatti, non lo so ancora, perché sto scrivendo cose diverse dal solito con ritmi diversi dal solito. Sono molto curiosa di scoprirlo, però.
Io credo che il rapporto con la scrittura spesso segua delle fasi. Qualche anno fa anch’io avevo avuto un distacco dalla teoria, per poi di nuovo sentire il bisogno di riflettere su alcuni concetti. Credo che, nella sostanza, tutto dipenda dalle nostre esigenze emotive. A me, da Bilancina, piacerebbe fermarmi in un punto di equilibrio. Un abbraccio 🙂