La mia verità
Per scrivere questo flusso di coscienza ho spento il telefono. Non l’ho lasciato silenzioso in un’altra stanza come faccio di solito. No: stavolta, l’ho proprio spento. Per coerenza. Per restituire alla mia mente l’evasione di cui ha bisogno, quella concentrazione priva di interferenze che spesso la società ci nega, intenta com’è a richiamarci all’ordine, a imprigionarci dentro un ruolo che… boh… forse non abbiamo mai realmente scelto. Forse non è nostro come credevamo. Forse è solo il frutto dei nostri desideri negati, delle nostre aspettative, di ciò che avremmo desiderato diventare per far piacere a parenti e amici, con buona pace dei nostri ideali e delle nostre aspirazioni, con buona pace della nostra anima più autentica.
Il Jolly.
Ve lo ricordate, il Jolly?
Ne parlavo tanto, su Appunti a Margine. Questa metafora rappresentava il ruolo dell’artista nella società: un individuo che non ha bisogno di compromessi per essere sereno, un essere umano che riesce a trovare le risposte esistenziali più profonde nel silenzio della propria coscienza e le trasmette agli altri con solarità ed energia. Proprio lui, che sa quanto sia importante sentirsi liberi, desidera concedere a chi ha di fronte la possibilità di rifiutare il suo messaggio senza andare in paranoia. Questo è un grandissimo atto di rispetto nei confronti del proprio interlocutore. Solo una persona libera e dotata di forte autostima è in grado di non dipendere dall’approvazione altrui. E solo un autore che crede con estrema forza nelle proprie parole sa rinunciare al bisogno che esse siano accettate, perché la loro energia è sufficiente per permettergli di volare. Del resto un contenuto potente, grazie alla sua perseveranza, può scavare nella roccia, scalfire anche i cuori più duri. Forse verrà rifiutato e ridicolizzato, ma non lascerà mai indifferente.
Tutto questo, al Jolly, basta.
Come ho potuto scordarmi di lui?
Lo esaltavo quando mi sentivo imprigionata in una vita che non avevo scelto. Avevo bisogno della sua forza per sollevarmi, per gridare al mondo che sì, io c’ero, e la mia presenza non doveva essere legittimata da un’entità superiore, perché bastava a se stessa. Poi la mia esistenza è cambiata. La mia personalità si è gonfiata, stile Incredibile Hulk. Ho rotto le catene che m tenevano costretta. Le ho spezzate. Sono rinata. Sono tornata ad essere me. E quindi lo strano individuo con il cappello, il cui ruolo era diventato ormai simile a quello delle emozioni di Inside Out, è finito in un cantuccio. Non ho deciso di rimuoverlo come un infantile amico immaginario. Semplicemente la sua identità si era fusa con la mia. Non avevo più bisogno di ricordarmi ogni cinque minuti che tipo di persona desiderassi essere, per poi pilotare i miei comportamenti dall’esterno. Ormai ero già diventata ciò che volevo. Ero diventata un Jolly. O almeno, questo pensavo.
In realtà, il mio percorso era appena all’inizio.
C’erano ancora tanti fortini che dovevano essere distrutti.
Hai bisogno di una mano ad ultimare il tuo romanzo? Visita “Servizi di scrittura“
C’era ancora la mia verità da scoprire.
Se vogliamo considerare il Jolly come il lato più innovativo e creativo di un essere umano, è facile comprendere che non ci si possa sedere sugli allori con le gambe incrociate. Non si può dire: “Ecco, sono arrivato, non ho più nulla da imparare.” Nessun individuo smette mai di essere un allievo, nemmeno a novant’anni. Avere convinzione di essere dei supereroi tarpa le ali, addirittura più della mancanza di autostima. In ogni situazione, esiste il giusto mezzo. Un po’ spingi, un po’tiri. E un po’ ti riposi.
Riposo.
Bah. Che parola assurda. Non è che mi sia proprio riposata, in questi ultimi anni. Tutti i miei sforzi sono stati indirizzati alla costruzione di una nuova professione, parallela a quella ufficiale: quella di editor e di autrice; quella che risponde alle mie esigenze psicologiche, più che a quelle materiali; quella autonoma, senza capi a cui rendere conto, o colleghi che vogliono insegnarti a vivere.
Per coltivare questo obiettivo, sono diventata un mostro instancabile, ho dovuto mettere in stand-by alcuni aspetti della mia vita. La scrittura è stato uno di questi. Non era il momento. Per poter raccontare una storia agli altri, dovevo prima focalizzare la mia, comprenderla, e forse addirittura viverla. Però, non avevo abbastanza tempo per sedermi, respirare e domandarmi: “c’è ancora qualcosa che devo sistemare, prima di poter spiccare il volo?”. Così, senza nemmeno accorgermene, ho ricominciato a mettere il dovere davanti al mio benessere, a considerare il piacere un surplus, perché prima vengono gli impegni socialmente riconosciuti, accettati dal sistema, e poi ciò che ci sta a cuore.
Inutile dire che non si possa sbaraccare un intero settore della propria vita e pretendere che gli altri rimangano illesi. Spesso evolvere significa innescare un meccanismo a catena che distrugge certezze, vecchi schemi e false credenze, per farci risorgere in una versione migliore di noi stessi. La versione del Jolly. Ma per risorgere dobbiamo prima morire. Non fisicamente, ovvio. E nemmeno del tutto. A volte è sufficiente far morire quei lati della nostra personalità o della nostra vita quotidiana che non ci servono più. Per accendere un campanello d’allarme, può essere sufficiente un pizzico di insoddisfazione: se, nonostante tutti i nostri sforzi, ancora non ci sentiamo completi, significa che qualcosa dentro di noi si è spezzato. Allora, bisogna prendere provvedimenti. Sollevare lo sguardo. Cambiare atteggiamento.
Vuoi migliorare la tua scrittura creativa? Visita la pagina “Consulenza narrativa”
“La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni, è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”, dice Jep, il personaggio interpretato da Tony Servillo nel film Premio Oscar La Grande Bellezza. Io non solo ho compreso questo concetto molto prima, ma addirittura ho visto la mia wish-do list rinnovarsi continuamente. La coscienza, del resto, è un universo in continua espansione: quando la mente fallace non è più in grado di contenerla, straripa dai propri confini, portandosi via tutte le sovrastrutture che impediscono a un essere umano di essere vivo.
Io ho visto le mie certezze menzognere frantumarsi sul pavimento, un pezzo alla volta. Mi sentivo nuda. Mi sentivo sola e spaventata. Ma poi, là dove all’inizio percepivo un vuoto, è stato piantato un seme da coltivare, annaffiare, curare con amore. Ora, quel seme si è trasformato in una pianta fiorita, una pianta che si chiama Verità. La mia verità. Quella da cui intendo ripartire, grazie alla scrittura.
So che essa non è immutabile.
So che domani troverò nuove risposte.
Ma in questo momento ho bisogno di vederla risplendere dentro di me, di esprimerla a parole, senza pensare, perché il pensiero mi porterebbe a spiegarla. E io voglio soltanto sentirla respirare.
Hai scritto un romanzo ma vorresti un parere da un professionista? Visita “Valutazione indeiti“
Qual è la mia verità?
La mia verità è un grande rispetto per la bellezza e per l’equilibrio. È la capacità di scavare profondamente dentro ogni significato fino a farlo sanguinare. la volontà di essere sempre oltre il senso comune, di estraniarmi da ciò che non giova alla mia serenità, di mantenermi coerente con i miei principi anche quando non sono conformi con le convinzioni oggi dominanti.
La mia verità è una continua ricerca dell’amore in tutto ciò che faccio, in tutto ciò che sono. Perché il concetto di amore va oltre la banalità del rapporto di coppia (contesto in cui, tra l’altro, a volte nemmeno c’è…). Quella è solo una faccia del dado, una delle numerose strade che esso sceglie per esprimersi. L’amore è di più. L’amore è una forza che invade ogni atomo e lo fa luccicare, che ci connette agli altri, che ci dà la forza per affrontare la vita quotidiana. L’amore è nelle nostre azioni ispirate, nel nostro scopo esistenziale. L’amore è in ogni gesto di gentilezza incondizionata. È nella capacità di perdonare, di perdonarsi. Noi non sappiamo scorgerlo, presi come siamo dalle nostre faccende quotidiane. Ci facciamo umiliare dalla rabbia. Ci nascondiamo dietro ripicche, pettegolezzi e questioni di principio. Però siamo tutti esseri umani, cazzo. E, quando riusciremo a vederci senza filtri, non avremo più bisogno di ipotesi e supposizioni. Non avremo bisogno di cercare prove tangibili dell’affetto altrui. Non avremo bisogno di schermarci dietro ferite che forse in passato ci hanno protetto, ma ora non ci servono più. Esiste una forza che va oltre lo spazio e il tempo, una forza nella quale siamo immersi, e dalla quale siamo trascinati ogni istante della nostra vita, anche quando non vogliamo o non ce ne rendiamo conto. Questa forza è dentro di noi. E, se le dessimo più potere ci renderemmo conto che la paura ci tarpa le ali. Ci rende schiavi ogni volta che rinunciamo a un progetto perché non ci sentiamo all’altezza, ogni volta che sentiamo di non meritare la felicità, ogni volta che ci facciamo trascinare dalla mente, in uno schema distruttivo.
La mia verità è una fiducia incrollabile in ciò che è invisibile. Attenzione, però: non sto parlando di fede religiosa. La società ormai ha inquadrato anche quella. Sto parlando di una vocina interiore che a volte mi risuona dentro, e che mi indica la strada da seguire. A volte la zittisco, perché la mente tende a trovare soluzioni più a portata di mano, meno dispendiose: i classici automatismi, per intenderci. Ma quando mi lascio trasportare, arrivano risposte inconsuete, e le trovo proprio là, dove ogni sensazione era stata ammutolita dall’innata tendenza a voler spiegare tutto con la ragione. Queste risposte sono nella mia anima. Sono nella vibrazione che percepisco tra le sopracciglia. Sono nei piccoli miracoli di ogni giorno, negli incontri speciali, nella capacità di mandare un messaggio senza aver bisogno di un telefono, solo con il cuore. Sono in quelle che la ragione chiamerebbe coincidenze, ma che io ho sempre definito segnali. Non so se arrivino da un Dio, da qualche entità astratta, o semplicemente dalla mia coscienza. Però mi strappano una risata. A volte, una lacrima. E, soprattutto, mi indicano la strada.
La mia verità è la consapevolezza di essere nata libera. E, in quanto persona libera, non ho alcun bisogno di surrogati per stare bene. Le uniche reali necessità sono quelle che mi gridano dentro: scrivere, assecondare la mia missione, aiutare gli altri, valorizzare le mie doti, accettare i miei difetti. Esistono entrambi. I talenti e le pecche. Valorizzare i primi, non significa essere boriosi. E accettare i secondi, non è segno di auto-indulgenza, ma di rispetto per se stessi e per le proprie fragilità. Solo quando luce e ombra sono in equilibrio, una persona è in grado di esprimere le proprie potenzialità. E io sono nata per questo: per svegliarmi la mattina, guardarmi nello specchio ed essere orgogliosa di ciò che vedo. Non del mio aspetto, che è solo un involucro, ma della luce che emana una persona felice. Una luce che può arrivare ovunque, grazie al potere delle mie parole, grazie a un’urgenza comunicativa che non voglio più tacere.
Sì: voglio ricominciare a scrivere romanzi.
Stai cercando un alleato per il tuo romanzo? Visita la mia pagina “Servizi di Editing“
Questa è la mia verità più importante. E la vostra qual è?
Fate come me: scrivete una domanda, e lasciate scorrere la vostra risposta senza pilotarla, senza guidarla. Ciò che troverete sepolto nei meandri della vostra memoria vi sorprenderà. Eppure, dopo un po’, vi sentirete liberi. Vi sentirete Jolly. Vi sentirete voi, davvero voi. E sarà bellissimo, lo giuro.