L’editor e il suo rapporto con gli autori
Grazie al mio lavoro di editor sono nate tante amicizie. Nulla infatti avvicina le persone più dell’arte. L’empatia è necessaria fin dal primo incontro, a prescindere dal fatto che esso avvenga face to face oppure, come sempre più spesso capita, attraverso i social network.
Un libro è per l’autore una sorta di figlio, quindi non vuole affidarlo al primo che passa. Cerca qualcuno con vibrazioni simili, perché sa che non distruggerà la sua opera, e quindi la sua anima, ma se ne prenderà cura e la aiuterà a espandersi.
Leggendo le recensioni al mio lavoro, vi renderete conto di quanto per me sia importante rispettare l’unicità dell’autore e aiutarlo a tirare fuori la propria vera voce. Alla base di questa priorità c’è sicuramente un carattere – il mio – fortemente empatico.
Riesco a percepire la natura di chi ho di fronte fin dal primo contatto. E riesco a leggere anche il vuoto che si cela nello spazio tra una parola e l’altra: tutte le emozioni paure, le convinzioni limitanti, le abitudini di pensiero.
Quindi, nel momento in cui assumo un incarico, so che non mi limiterò a eliminare i refusi e correggere gli errori ricorrenti: io comprenderò, senza sforzo alcuno, perché l’autore lo commenta. C’è sempre una spiegazione psicologica, dietro la sua scelta.
O non scelta. Spesso infatti l’autore è vittima di automatismi dei quali non è consapevole. Mio (anzi: nostro) compito è scovarli, per poi eliminare la loro causa. Chi ogni due righe ripete la parola “rabbia”, per esempio, forse deve fare i conti con un lato di sé che non è ancora completamente risolto, e che penalizza la sua scrittura.
Chi non riesce a descrivere un paesaggio senza scivolare nel banale, forse non ha ancora imparato a osservare. Occorre insegnarglielo, quindi, con la consapevolezza che non si può diventare scrittori migliori, senza diventare anche persone migliori. L’evoluzione, è questa roba qua.
Quando lavoravo a tempo pieno come impiegata, soffrivo moltissimo.
Percepivo la mia attività come poco utile. Da quando ho ripreso a lavorare come editor, invece, la mia realtà ha assunto sfumature più affini alla mia natura, alle competenze che ho maturato con anni di studio e di esperienza sul campo e al mio ideale di vita.
Attraverso un lavoro che amo profondamente, aiuto gli scrittori (persone di solito molto sensibili, profonde e un po’ insicure) a risolvere le proprie magagne creative, e spesso anche psicologiche. In senso lato, aiuto anche il sistema culturale.
Più romanzi validi ci sono in giro, meglio è per tutti i lettori, presenti e futuri. Forse non posso, da sola, contribuire ad elevare lo standard generale. Ma il fatto che i romanzi da me curati abbiano un’elevata qualità mi fa sentire bene.
Mi dà l’impressione di aver dato uno schiaffo a quella pochezza e a quella superficialità che oggi vanno tanto di moda.
In poche parole: se scrivere è sempre stata la mia vocazione, l’editing è uno mezzi che utilizzo per rispondere alla chiamata. Non è un lavoro, ma una missione.
Ecco perché guardo con occhio critico (ma non giudicante: non mi permetterei mai) i colleghi che non valorizzano abbastanza quest’attività e non si rendono conto di aver a che fare con altri esseri umani, non con macchinette fabbrica soldi.
Partiamo da un presupposto. Ciascuno di noi deve mangiare. Non lavoriamo per la gloria, quindi. Ma lavoriamo per guadagnare una somma sufficiente a fare la spesa, pagare l’affitto e le bollette, concederci qualche sfizio.
A fare la differenza è la strada che scegliamo per arrivare allo stipendio.
Gironzolando tra i vari blog, mi imbatto sempre in post di questo tipo: usa il metodo di Tizio (autore di best-seller) Caio e Sempronio. Diventerai come loro. in soli tre mesi!
Vi sembra onesto, questo atteggiamento? A me sinceramente no!
Trovo scorretto guadagnare del denaro sulle illusioni degli aspiranti scrittori.
A cosa serve far credere loro di essere la reincarnazione di Hemingway? Molto meglio renderli consapevoli delle loro effettive capacità. Qualcuno si sentirà attaccato nel proprio ego, e si offenderà. Quindi, non mi affiderà il proprio romanzo. Pazienza.
Ho abbastanza lavoro per permettermi di scegliere con chi lavorare. Ovvero persone capaci di autocritica, disposte a confrontarsi, a intraprendere un percorso insieme a me, un percorso che possa fare crescere da un livello “principiante” a un livello “avanzato”. Magari, perché no, anche a diventare dei professionisti.
Con ottimismo, ma senza sentirsi arrivato. Del resto, anche chi ha alle spalle diverse pubblicazioni può crescere e migliorare. L’errore più grande, qualunque sia la nostra professione, è quello di sentirci arrivati.
Leggi anche ” Il conflitto narrativo di cosa si tratta e come si esprime“
Editor che si fanno scrivere gli articoli
Altra nota dolente. Ci sono editor superstar che si fanno scrivere gli articoli da un copywriter. Questo dettaglio può sfuggire a un lettore disattento o poco esperto, ma di certo non sfugge a me, che lavoro sul web da anni.
Sarò talebana, ma mi sembra una bestialità. È come se un calciatore, invece di scendere in campo per la partita, mandasse un sosia. No, ragazzi, non si fa. O meglio: chi lavora con la scrittura, secondo me, non può farlo.
Posso comprendere un agente immobiliare, uno che trascorre le giornate a vendere case e non ha tempo (e magari nemmeno le capacità) per scrivere un articolo.
Ma noi? Noi, un post come quello che sto scrivendo io adesso, dovremmo essere in grado di prepararlo in un’oretta scarsa. E dovremmo anche redigerlo con passione, consapevoli del fatto che stiamo creando un canale di comunicazione privilegiato con gli autori.
Se non ci rendiamo conto di questo, faremmo meglio a cambiare mestiere. Perché non siamo editor. Siamo solo venditori. Sempre di fumo, ovviamente.
L’obiettivo di attirare più clienti possibili va bene per chi opera nel settore del commercio puro.
Più vende, più guadagna. Ma la nostra è un’attività intellettuale. Per noi è assurdo puntare sulla quantità. Credo che nessun editor sia in grado di seguire cento autori contemporaneamente.
Specialmente io, che sono freelance solo in orario pomeridiano. Quindi, non mi interessa scrivere per la SEO, proponendo articoli triti e ritriti che fanno massa su Google ma, di fatto, non trasmettono nulla di nuovo.
Articoli della serie “Conta più lo stile o trama?” potranno anche portarmi mille lettori, ma quale utilità avranno tratto, questi, dall’apprendere un concetto che già conoscono perché è stato sviscerato su tutti i siti di scrittura, ovvero che contano entrambi.
E se questi mille lettori decidessero di lavorare con me, dovrei comunque metterli in attesa. Quindi, preferisco non considerare questo sito uno strumento di marketing, ma un’opportunità per offrire risorse utili e contenuti di valore a chi decide di seguirmi.
Che siano dieci o cento persone non importa. Non mi piace parlare di contatti. A questo termine, preferisco il più umano relazioni.
Per me gli autori sono persone, non numeri. Il mio lavoro è guidato dall’amore per la letteratura, e dal rispetto per la loro umanità. Quindi, darò a entrambi tutte le attenzioni possibili. Sempre.
Il lancio della patata bollente