Dal self-publishing alla pubblicazione – la mia esperienza con un editor
Quando ho chiesto a Gaspare Burgio di scrivere una recensione sul lavoro che abbiamo svolto insieme, non mi aspettavo certo un articolo così dettagliato. Quindi, ho deciso di pubblicarlo in un post a sé stante, dandogli tutto lo spazio che merita sul mio blog. Lungi da ogni intento auto-celebrativo, penso infatti che le sue parole possano essere utili a qualunque autore in cerca di un editor, e a qualunque editor in cerca di autore, poiché mostra alla perfezione gli altissimi risultati – anche psicologici – garantiti da una collaborazione basata su fiducia e autostima. Se volete lavorare bene, circondatevi sempre di persone che ammirate!
Buona lettura. 🙂
Provengo dal colorito mondo del self publishing, nel quale non sempre si ha un controllo di qualità prima della divulgazione.
Nel mio caso specifico, utilizzavo dei beta reader che si sono dimostrati altalenanti nel contributo offerto.
Quando ho deciso di approcciare una casa editrice, ho dovuto fare i conti con un ambito nuovo, ovvero quello del testo soggetto alle cure di un editor.
Quelli che seguono sono i punti principali che ho sperimentato lavorando con Chiara.
1: L’editor ha sempre ragione!
Sono stato particolarmente fortunato perché prima di avvicinarmi a questa nuova realtà litigavo tanto sui forum rispetto a quel che scrivevo. Molta voglia di fare bene mi è venuta per le reazioni critiche ricevute, pertanto non ero nuovo a vedermi corretto.
Inoltre il mio fine non è mai stato quello di dichiarare di essere un autore, ma diventarlo per merito, quindi anche quando mi davano addosso, pur abbaiando sul momento, mi mettevo di impegno per cercare di fare meglio. Si può sempre fare meglio!
Credo possa essere scioccante per un esordiente scoprire che molte cose scritte si rivelano erronee, il suo ego potrebbe venirne ferito: creare un’unità narrativa completa inorgoglisce. Soprattutto se parte della prosa attinge al suo vissuto (cosa che sconsiglio caldamente: usate la sensibilità per guardare cose esterne a voi, molto meglio!).
In ogni caso sappiate questo: l’editor, qualche che sia il caso, ha sempre ragione.
Non arrabbiatevi con lui se scova dei difetti. Non è certo qui per darvi un voto e, come cerco di spiegare nei punti che seguono, non sminuisce affatto il talento. A dire il vero non ha proprio senso arrabbiarsi e prenderla sul personale – non c’è niente di personale, l’arte non appartiene a nessuno.
Quella bellissima storia forse non è tanto bellissima, ci sei solo tanto affezionato. L’editor non vuole certo distruggerla per dispetto, che gliene verrebbe?
2: L’editor sa cose che tu non sai
Una cosa che ho imparato è che il processo creativo non è lineare: quando creiamo una storia la conosciamo già per sommi capi, per titoli di capitolo o per scene, e da questi capisaldi, come spremendo un’arancia, ricaviamo il succo narrativo.
Non creiamo la storia per come viene letta, cioè non la creiamo partendo dal nulla e non la creiamo in modo lineare. I paragrafi vengono prima immaginati quindi tradotti in lessico, non viceversa.
Questo rappresenta un grosso problema in fase di revisione! I capisaldi da cui ricavaiamo il succo tendono a giustificare i contesti. Come a dire che abbiamo già in testa un comodo teatro in cui gli attori possono recitare, ma un lettore no: un lettore parte dalla tenebra più totale.
Un editor è un estraneo. Ha la possibilità di percepire il testo come un lettore vero e proprio: dal nulla assoluto alla costruzione del contesto, parola dopo parola. Non ha in testa quei capisaldi che abbiamo usato per creare le scene, quindi non giustifica nulla.
Affidarsi a un editor aiuta in quantità discreta a scovare magagne che neppure si intravedevano, ma, quando rivelate, ci colpiscono. “Come ho fatto a non accorgermene da solo?”. Divertente, se la si prende dal verso giusto.
L’editor somma a questo, se ho veduto bene, una conoscenza delle norme grammaticali ben superiore a quella richiesta dal narratore, il quale tutto sommato può evitare i generi del latino e continuare a suonare jazz a orecchio. L’editor ha un radar per gli errori della lingua molto più raffinato, specializzato: vale la pena usarlo.
3: L’editor parla con te
Una delle cose che più mi ha affascinato, e da un certo punto di vista estraniato, è che in precedenza i beta reader mi davano impressioni e tanto bastava. Con un editor si è stabilito un dialogo progressivo.
Dopo l’invio della bozza mi aspettavo di ricevere tali indicazioni, correggere e fine là.
Invece no. Dopo la prima correzione ne sono avvenute addirittura altre tre, in cui siamo andati a raffinare sfumature perfino sottili. Devo ammettere che vale ancora il punto 2 di cui sopra: l’editor aveva ragione praticamente sempre.
Devo concludere che il testo ha guadagnato una leggibilità che prima non aveva, pur mantenendo integra una certa essenza – il romanzo non era facilissimo, in quanto anche il lessico impiegato era una parte della sua natura costituente.
4: L’editor collabora
A parte i casi nei quali la mia incuria aveva tralasciato errori grossolani, dove cioè era necessario un intervento drastico (“Correggi questo strafalcione!!”), una cosa che mi ha colpito è stato il rispetto generale dell’essenza narrativa.
Ovvero: qualunque scrittore si crede sovrano di una materia empirea e inarrivabile, piena di sostrati che solo il suo lettore tipo, nel caldo rifugio dinanzi al camino, capirà dopo la trentesima lettura e una vita di riflessioni.
Corbellerie. La mia editor ha capito tutto al volo, come possedendo una speciale vista a raggi X che andava oltre la parola, proprio per toccare l’intento dietro la parola.
Ha collaborato con me per far trasparire ancora meglio cosa volessi dire al mondo.
Il lavoro è stato davvero soddisfacente, quindi non posso certo sentirmi defraudato di qualcosa! Anzi, per dirla tutta, è stato piacevole sapere che il messaggio morale si percepiva, il che mi ha spronato ancora di più nell’intervento sul testo.
5: L’editor si esalta quanto te
Ecco, su questo punto voglio attuare la massima chiarezza. Se tu ti sei esaltato nello scrivere, un editor sembra provare la medesima eccitazione nel far migliore la tua scrittura. Non è il professore con la penna rossa, che probabilmente corregge il tuo tema scolastico controvoglia. Ho percepito una vera e propria emozione!
Potrei suggerire questa metafora: non sei tu l’artista. Tu sei la divinità che genera il marmo. Sei una forza naturale primordiale. Potente quanto vuoi, ma questo sei. L’artista è l’editor, che picchia, accarezza e snellisce le istanze del marmo per dare loro una forma equilibrata.
In fondo è l’editor che, a conclusione del lavoro, si allontana di tre passi, guarda la statua, si inebria e dichiara “gli manca solo la parola!”.
Dico questo perché suppongo che la mia esperienza dovrebbe ripetersi per altri, ovvero mi auguro che anche loro trovino editor che si immergano in tale misura nella loro attività: di certo ciò che consegue è un buon prodotto di arte letteraria e di valore divulgativo.
Conclusione
Fidatevi. Il lavoro con un editor, se approcciato con il corretto spirito, non è affatto una depressiva correzione dei tuoi difetti. L’editor è un complemento necessario del processo creativo, è il vero e proprio tramite fra la tua idea e la realtà umana dei lettori.
Tu sei la nuvola, l’editor è il fulmine!