Perché scrivi?
Un pomeriggio di cinque, forse sei anni fa, mentre navigavo su un blog di crescita personale, mi imbattei in uno strano esercizio d’auto-aiuto.
Essendo passato tanto tempo, non riesco a ricordarne i singoli passaggi, però l’obiettivo finale era estrapolare un breve testo, che sintetizzasse lo scopo della propria vita.
Decisi di provare, quasi per gioco, credendo di aver a che fare con il classico test psicologico. Invece no. Quanto scritto dopo questo strampalato esperimento mi rappresentava davvero. Era il solito papiro, ovviamente. E il suo incipit, ancora oggi, risuona nella mia testa: io desidero aiutare gli altri con la mia scrittura.
Ho sempre pensato che ogni essere umano faccia parte di una rete molto ampia, i cui membri solo legati a filo doppio. Se uno di loro si eleva, anche gli altri migliorano la propria condizione. Quindi, l’unico mezzo a mia disposizione per rendere onore al dono più grande che la natura mi abbia fatto, ovvero la capacità di usare la parola, è metterlo al servizio della comunità.
Potreste pensare che io sia megalomane, ma non c’è bisogno di scrivere il nuovo Guerra e pace, credetemi. Ogni testo, anche quello all’apparenza più insignificante, ha la propria dignità.
Può essere un’e-mail di lavoro, un breve comunicato, la risposta a un reclamo: ogni volta che dai un’informazione a chi ne ha bisogno, risolvi un problema, ti rendi utile. Oppure posso modificare un’unica riga all’interno del vostro romanzo perfetto. Quella che proprio non riuscivate a scrivere, perché toccava corde troppo profonde.
Quella della quale il lettore Mario Rossi aveva bisogno per innescare una piccola trasformazione dentro di sé. Una trasformazione che magari Paolo Bianchi ha già vissuto quattro anni fa, o alla quale non arriverà mai. Per lui, ci sarà un’altra frase, un altro concetto, un altro messaggio da integrare nel proprio essere. Le parole possono arrivare ovunque, specialmente nell’era digitale.
E non è necessario che facciano effetto subito. A volte, lavorano in una dimensione invisibile. Chi le ha ricevute, crede di averle dimenticate, e ha bisogno di tempo per portarle a un livello di coscienza, per trarne utilità.
Una volta, per esempio, inviai a una persona un messaggio che non fu compreso, perché non era pronta.
Cinque anni dopo, il destinatario me lo rimandò indietro, corredato da un’unica frase: “avevi ragione”. Non era troppo tardi, per seguire un consiglio che, ancora oggi, dà i suoi frutti. Né per creare una bella amicizia là dove prima c’era solo distacco.
Da allora, se voglio scrivere due righe per qualcuno, via e-mail o su WhatsApp, non mi tiro indietro, neanche quando sono titubante. Il tempo mi ha insegnato che nessuna parola pronunciata con gentilezza e onestà può nuocere. Al massimo, può lasciare indifferenti. Ma in questo caso, la responsabilità non è di chi ha parlato o scritto, ma di chi l’ha ricevuta, perché non aveva gli strumenti adatti per renderla propria.
La domanda “perché scrivi?”, dunque, ha una risposta che si innesca in automatico, ogni volta che rifletto sulle mie motivazioni. Lo ripeto: io scrivo per aiutare gli altri. Ed è anche per questo che ogni tanto vado il loop con i miei romanzi e con il blog.
Ci sono periodi in cui non riesco ad aiutare nemmeno me stessa, quindi non sono in grado di offrire risposte. In quei periodi, però, esistono l’editing e il ghost-writing. Anche aiutare gli altri a trarre il meglio dai propri testi è un modo per onorare il mio scopo. Quando riesco ad estraniarmi da me stessa e a concentrarmi sul prossimo, la missione torna in auge. Mi rende ancora felice.
E voi, perché scrivete?
Se desiderate dare vita a opere che abbiano un significato, è necessario trovare una risposta a questa domanda. Non è necessario che le vostre motivazioni siano spirituali e profondissime. L’importante, è che conosciate quel grosso perché nascosto dietro le vostre scelte di vita. Senza questo perché non si può raggiungere nessun obiettivo. Né si può lavorare insieme a me.
Ve lo domanderò subito, sapete? A cosa serve la vostra opera. Qual è la vostra vocazione. Se non conoscete le risposte a tali quesiti, non possiamo elaborare un progetto efficace. Perdiamo tempo tutti quanti. Dunque, prima di intraprendere una carriera complicata come quella dello scrittore, chiaritevi le idee sulle vostre motivazioni. Non è detto che debbano rimanere uguali per tutta la vita. L’importante è che ci siano, e che vi guidino, giorno dopo giorno.
Il lancio della patata bollente.
Quanto valore date alle vostre motivazioni?
Perché scrivo? Potrei rispondere “perché mi piace farlo”, ma non è preciso. Anche giocare a un videogioco mi piace, ma la scrittura è qualcosa di più per me: la scrittura non solo è un piacere, ma mi fa sentire realizzato. Sarà perché ho tante storie da raccontare, tanta fantasia da esprimere, sarà che da sempre sogno a occhi aperti. Sta di fatto che, per continuare l’esempio di prima, posso stare senza problemi un giorno senza videogiocare. Un giorno senza scrittura invece è vuoto, anche in periodi come questo che, per motivi vari, scrivere è un po’ più faticoso del solito. Direi quindi che sono molto motivato a continuare a scrivere, e se possibile anche a farlo diventare un lavoro: difficile in Italia, ma mai dire mai!
P.S. il feed di blogger funziona benissimo, il tuo post è arrivato senza nessun problema ^_^ .
Certo, il piacere è fondamentale. Lo è a tal punto che lo do per scontato. Però, come dici tu, la scrittura è qualcosa che va oltre, perché si lega al nostro scopo esistenziale. L’esempio che tu fai a proposito dei videogiochi, per me vale con lo shopping. Però, noi abbiamo molto di più, dentro. C’è differenza tra il bisogno di esprimere noi stessi, e il dar sfogo a piaceri momentanei. In questo spazio vuoto, si concretizza il nostro amore per la scrittura, che colora tutto il resto. 🙂
Nel mio piccolo scrivo.. per dare ‘sfogo’ a ciò che mi passa in testa, per mettere ‘su carta’ (telematica) ciò che voglio dire.
Sul web, in un blog peraltro a te noto, il padrone di casa si è ‘scontrato’ con una persona che criticava l’esperienza del web e dei blog in particolare, rimarcando la futilità della netta maggioranza dei blog.
Quest’ultimo non adduceva argomentazioni errate, ma non riusciva a capire il punto.
Anche scrivere di futilità è dare ‘sfogo’ a un qualcosa che abbiamo in mente: può essere, ad esempio, il nostro parere su un film (giustamente..che cazzo se ne frega il mondo del mo parere su un film?).
Allora perché non dare il nostro parere su un film a un amico, seduti al tavolino di un bar?
Giustissimo, ma non è la stessa cosa.
Dare corpo a un testo è diverso da argomentare a parole.
Le parole vanno via, il testo resta.
Ma c’è altro.
Noi siamo individui, siamo solidali e anche generosi, ma sostanzialmente siamo noi, pensiamo a noi, cerchiamo di fare le cose per il nostro benessere. E’ normale.
Quindi aprire un blog per scrivere le cazzate che ci passano in testa mi sembra un meccanismo piuttosto naturale.
Tuttavia nei blog si innescano anche dinamiche secondo me positive.
Persone che si fermano a leggere ciò che scrivi e che si sforzano di leggere quelle cose che magari non avrebbero mai considerato. O che si sarebbero perse in un discorso a voce.
Quante volte infatti in un discorso a voce iniziamo a parlare di qualcosa e poi interrompiamo perché non vediamo interesse nel nostro interlocutore?
Nel blog è vero, ci sono persone che leggono solo un pezzo o che non leggono per niente, ma ci sono anche persone che fanno quanto detto: si fermano a leggere ciò che scrivi, perché sono interessati ai “pezzi di te” che ricompongono il tuo “io”.
Il blog diventa allora un mezzo importante.
Queste futilità, questi pezzettini..alla fine danno forse un’idea più veritiera dell’Io, piuttosto che i discorsi al tavolino del bar su quanto sia stata dura la giornata lavorativa…
Hai colto due aspetti fondamentali della scrittura, Riccardo.
Innanzi tutto, la scrittura resta, laddove la parola vola via. Questo, a volte, ci dà l’impressione di essere eterni.
In secondo luogo, un testo scritto può essere anche fruito in differita, riletto se non compreso, rispolverato dopo molti anni. Uno scritto ci dà la possibilità di tornare sui nostri passi, e di rispolverare contenuti per i quali, a suo tempo, non eravamo pronti.
Inoltre, nella scrittura c’è un ordine che manca, quando si è seduti al tavolino del bar.
Scrivere, è un modo per riportare la perfezione nel caos. 🙂
E ti assicuro che ciò che hai scritto tu..è vero.
Mi hai fatto stare molto meglio con questo tuo post.
Auguri di cuore per queste festività Pasquali a te e ai tuoi cari.
Come dico sempre, la blogosfera è molto più povera senza di te
L’ultima frase che hai scritto è meravigliosa.
Ti ringrazio di vero cuore, Ricky. <3
Ciao Chiara! Io scrivo perché mi piace stare bene e far stare bene le persone con le mie storie. Sono due scopi uniti: se uno dei due mancasse, l’altro forse non basterebbe a reggere l’impegno di scrivere. Avere chiare le proprie motivazioni, nel loro divenire, è fondamentale. Non ti impedisce di mollare tutto – non sarebbe bene che facesse questo effetto, comunque – ma ti aiuta a capire cosa per te conta di più e cosa di meno. Motivi di frustrazione ci sono sempre, se si scrive per lungo tempo: il periodo privo di ispirazione, il libro che non vende, gli editori indifferenti, la storia che non riesce come vorresti… può diventare una passione-tormento. Se sai perché scrivi, è più facile conservare un equilibrio.
Ciao Grazia, bentornata. 🙂
Sono pienamente d’accordo con quanto scrivi.
Da brava bilancina, per me è fondamentale mantenere l’equilibrio, qualunque cosa io faccia.
Anche per questo motivo, trovo la soluzione di avere due lavori ottimale per le mie esigenze.
Quando avevo solo il lavoro a tempo pieno, mi mancava la creatività e quel pizzico di anarchia che mi consente di andare avanti senza impazzire. Quando dici “io oggi non ne ho voglia” e molli la presa, si crea uno spazio vuoto, nel quale può accadere potenzialmente di tutto.
Se avessi solo il lavoro autonomo, invece, mi mancherebbe la stabilità. Dovrei accettare tutti i progetti, anche quelli che non mi interessano. Quindi, la passione potrebbe affievolirsi. E io non voglio correre questo rischio. Senza la scrittura, non saprei più chi sono.